Concorso di Poesia – “Verso i versi” – 2013 – Motivazioni

III° Classificato

sezione: Lingua Italiana/Vernacolo

Annamaria Cardillo

per la poesia “Fra poco

Si prova leggendo la lirica la piacevole sensazione di attesa che prelude al momento più desiderato della giornata: la notte; il lento spogliarsi…di quanto arrovella e consuma di giorno; la fuga evasiva del pensiero capace di raggirare le trappole e di liberare dalle maschere quotidiane; l’onda lunga che invade, azzerando ogni convenzione, e consegna “all’essenziale”.
Nella poesia i piani tematico e formale sono perfettamente armonizzati sia dalla brevità del verso sia dalla pregnanza della parola allusiva che rendono immediato il messaggio di una donna che si arrende…ma solo all’Amore.

Fra poco   

M’appresto alla notte:
delle ore del giorno
mi spoglio,
le cose del mondo
abbandono
ai piedi del letto.
I pensieri ripongo
in cassetti
e a chiave li escludo
dai sogni.
Con lenta pazienza
i nodi dei lacci disciolgo
e libero al fine
da grate incrociate
il mio tempo.
Nel buio mi stendo,
allungo la mente
e m’assolvo,
come acqua mi espando
al di fuori di regole e forme.
Il vuoto m’invade,
la vita nascondo nel sonno
ed al nulla mi dono;
all’amore soltanto consegno
me stessa e il domani.

 

II° Classificato (ex equo)

sezione: Lingua Italiana/Vernacolo

Rosanna Spina

per la poesia “Ricamo in versi per una madre

Un’atmosfera rarefatta e lontana, quasi cristallizzata, per descrivere con rassegnata dolcezza l’assenza di una madre, la cui voce si è persa nel vento. Intorno regna il disordine, siepi spettinate, nidi vuoti. Freddo di gelo, tempo fermo. Fiduciosa l’attesa di una rinascita, dove potrà osservare con distacco il suo dolore, potrà riprendersi i ricordi che, alimentati da un sogno poetico, avranno nuova vita.
L’autore, userà la sua poesia come tessuto da ricamare con parole che chiameranno, sfioreranno, accosteranno il dolore e la morte, andranno oltre, promettendo la felicità di vivere la sacralità di un incontro con la madre, per ritrovarne il calore e l’amore.

Ricamo in versi per una madre

Non sento più la voce di mia madre
il vento ha spettinato già le siepi
i nidi son caduti e solo il gelo
inchioda le lancette sulle ore

ma io aspetto il tempo delle gemme
la tregua dopo cui poter contare
le sillabe spezzate nella tara
le spine sottopelle nella mano.

Dicevano che a tutto c’è un rimedio
per questo attendo l’empatia del sole
quando la luce ha un fremito sottile
mentre la stringo forte al mio pensiero.

Poter saperla lieta in una danza,
sentirne gli occhi come un focolare,
poter baciarne il bianco della fronte
come se fosse il lino di un altare

 

 

II° Classificato (ex equo)

sezione: Lingua Italiana/Vernacolo

Niccolò Andrea Lisetti

per la poesia “Le vecchie barche

La lirica si presenta nell’immediato come un bozzetto marinaro dall’atmosfera sospesa, in cui l’obiettivo, con puntiglio apparentemente veristico, indugia sui particolari delle vecchie barche, zavorrate inerti nel porto e cullate trascuratamente dal mare. Ma ad offrire la giusta chiave di lettura dei versi è la serie di imperativi negativi indirizzati ad un “tu” anonimo, compagno di ricerca dell’“io lirico” che si interroga con lui sul senso delle cose e, per questo, interroga gli elementi del paesaggio: abbandonarsi con un “saluto gioioso” e con “coraggio ed entusiasmo” al moto parabolico della vita sembra essere l’invito sussurrato dalle barche nel loro anelito all’alto mare. Le vecchie barche, che portano evidenti i segni della violenza del tempo, sono il correlativo oggettivo di un’esistenza provata, consunta sì, ma sazia del vissuto, che si concede con indulgenza e levità, con matura consapevolezza, ai marosi come alle bonacce; ricoprire di “vernice” il “vecchio legno” non potrebbe ricomporne “brecce” e “crepe”, così come sarebbe pura illusione accanirsi a rincorrere il mito di un’impossibile eterna giovinezza.

 

Le vecchie barche

non essere triste
per le barchette giù nel porto,
le vecchiette scortecciate
che offrono al salmastro il legno nudo
nei punti senza più vernice;
non ricoprire il vecchio legno
che oramai sta già marcendo
e non tenerle ferme a quella corda:
lascia che vadano per mare
finché il tempo lo vorrà,
perché vivono per quello;
dai coraggio ed entusiasmo
e quando le brecce si apriranno,
in mare aperto,
non sentirti triste, né tanto meno in colpa:
salutale gioioso,
perché grazie a quelle crepe,
l’acqua potrà entrare
e le barche rimarranno
nel posto che più amano

 

I° Classificato

sezione: Lingua Italiana/Vernacolo

Bruno Fiorentini

per la poesia “Sera nel porto

La scenografia della lirica “Sera nel porto” stupisce per la forza evocativa della parola poetica che “fotografa” sequenze intrise di sensazioni uditive e visive.
L’autore ha colto del porto, che nell’immaginario comune è avvertito come spazio caotico e rumoroso, aspetti di rara delicatezza.
In un’atmosfera rarefatta tutto è composto e pacato: il venticello tiepido d’Aprile; la gente che sfila sia pure annoiata; le barche ammucchiate “come pecore in ovile”; la luna quasi inchiodata in alto… d’un tratto a restituire dinamismo alla scena, direi alla vita, è il moto naturale dell’Amore che fa scivolare rapidi i pensieri del pescatore verso la donna che l’aspetta.
Lo stile del testo è pregevole per l’efficacia del lessico e la puntualità delle rime: un sonetto al quale il poeta ha ritenuto di aggiungere una terzina forse per la necessità tematica di conciliare  la calma apparente del mare con la corsa dell’uomo verso la felicità!

 

Sera nel porto

Tèpida l’aria al zèffiro d’aprile
che avverti da una fronda che s’inarca.
E’ sera: scarso il traffico e le file;
gente annoiata aspetta che s’imbarca.

A mucchio come pecore in ovile
ondulanti paranze e, ritto in barca,
un pescatore a lato del pontile.
Quasi un’ombra il traghetto che si smarca

in fondo al molo. Ormai s’è fatta notte:
strider di ferrivecchi .. voci a mare ..
muove il gigante per l’antiche rotte.

Vaneggia incerto mentre s’allontana,
sull’orizzonte liquido scompare.
Solo la luna sopra la dogana.

Sull’acqua piana
il pescatore scivola e s’affretta
pensando ad una donna che l’aspetta.

 

Segnalazione di Merito della Giuria

sezione: Lingua Italiana/Vernacolo

Anna Olimpo

per la poesia “Te sent

Pensieri e immagini dove frammenti di emozioni si condensano in sensazioni forti e incisive.
Un amore tradotto in intuizioni delicate e lievi, come il sole e il mare che si riscaldano senza toccarsi e sguardi che nel silenzio si parlano. Seguono poi, descrizioni primitive e forti per la mancanza della persona amata che si incarna come una spina sotto pelle e fa perdere il fiato. Su tutto, il peso di un amore che, pur nella sua intensa e consapevole bellezza, dà vita a una necessaria sofferenza.

Te sent

Te sent
miezz a gent, miezz e resat,
dint a na stanza affollat
quand me guard cu l’uocchie e chi già m’è capit.
Te sent
si parl, cu nu silenzio,
me strign e sul cu na guardat me dici ca me vuò ben.
Te sent
comm se sent o friddo
ca pur si nun o vir
te tras dint all’ossa.
Te sent
se nu juorn stai luntan e t manc,
se vuò chiagn e me circ,
se e parol nun truov
ma o cor mio già sa che vuò dicere.
Te sent
comm l’acqua e mare sent o sol,
e pur si nun se toccan mai
o calor ca scenn e ten stritt stritt dint a n’abbraccio.
Te sent
pechè m’e trasut dint o cor
e pur si qualch vot me scord e te
comm a na spina te teng infilat dint e ven
ca fa male si me mov
e m’arricord ca tu ce stai.
E allor te sent,
semp chiù fort,
e non comm a nu dolore ca me fa suffri,
ma comm a nu respir ca si me manc
mor.

Premio Speciale della Giuria

sezione: Lingua Italiana/Vernacolo

Franco Fiorini

per la poesia “L’ulivo di mio padre

La composizione, strutturata su quartine che risuonano dell’intensa musicalità dei versi, modulati su una morbida e accattivante delicatezza, è un dialogo d’amore, di straordinaria intensità emotiva, tra un’eccellenza “nobile” della natura, com’è l’ulivo, e l’uomo che ne ha ereditata la proprietà. L’offerta che fa di sé l’ulivo, che è simbolo di pace e fecondità, si connota di tratti altamente lirici di rara delicatezza, di immagini dall’intenso sapore idilliaco, nonché di struggenti e commossi accenti dalla delicatezza raffinata, che rivivono nel ripetersi del rito che annualmente, come una cerimonia di sacrale solennità, segna la continuità nel passaggio tra le generazioni.
Particolare fascino rende alla lirica l’utilizzazione di figure retoriche, così sapientemente combinate che, chi legge, non le percepisce come espedienti di natura estetica, ma le gusta compiutamente fuse nella struttura della composizione.
L’albero, del resto, si realizza come la metafora di chi fa offerta eroica e totale di sé, di chi affida tutto il piccolo mondo degli ideali, delle emozioni, delle ambizioni nelle mani sicure della persona fidata, nella convinzione di poter rinnovare all’infinito la sua dedizione.
Si respira, perciò, nella lirica come una magica sensazione di vivere una suggestiva simbiosi, che richiama per lo stile, oltre che per le immagini, il fascino della concezione dannunziana della natura.

 

I° Classificato

sezione: Donna in versi

Giovanni Troiano

per la poesia “Krimba – Crisalidi

Jèmi Krimba. Siamo crisalidi. È con questa plastica definizione che l’autore coglie il senso profondo della dimensione esistenziale, forse anche ontologica, della donna. Il termine “crisalide” allude ad uno stadio metamorfico, ad una condizione aurorale e perciò imperfetta, che si oggettiva poeticamente nelle immagini ossimoriche dello “sterile seme”, del “letto deserto” dell’“amore incompiuto”. Allora, solo il compimento della metamorfosi può illuminare retrospettivamente il senso di questa condizione in fieri: l’abbozzo di donna-crisalide si sublima, infatti, nell’incanto dell’“incontro”, nell’unione del “noi”. Mutata in farfalla, la donna diventa “goccia stillante in un mare d’eterno”, dispensatrice di vita come “fuoco di atomi inquieti”, regalando all’uomo l’ebbrezza dell’eternità. Nella trama analogica dell’ultima sequenza, infatti, è incastonato il sogno umano dell’eterno: “messi falciate”, gli uomini si fanno beffa del loro destino di mortali, riproducendosi in un nugolo di “scintille di vita”, pronte a prendere corpo in forme infinite, come in un campo sterminato di “spighe”, che portano impressi i tratti inconfondibili di un “volto” di donna.

Krimba

Një gjithàtë farë, një lule pa lerë,
nj’ ëndërr jètë mbì një shtratë i shkretë.
Bashkë së mund rrim, së mund pì tëndën frýmë,
nga hèrë çë shkon menàtja më pështòn.
Po nunga aq mot si pat’e bëjim
me një mall pambarùar àfër të rròjim?
 Jèmi krimba ndë kukùlet
mbllìmët ka varri ëndërrës nigùarë.
Ndonjhèrë fluturòfshim
do t’jèmi mendìme mbì frýmën e àjrit
si të ngjýra pèndë të bënura pagjë.
Do t’jèmi nìnëz drìtje mbì ujit,
një tuptìcë cìnurash,
një pìkëz e vètëm ndë dèjtit përjètshëm.
Sidò t’jèt’jèta, pàkëz çë mund rronj,
do të dhèzet si zjàrr pandarëve pa paqë.
Së dùa të pres më, mos bëj kamnùa,
 dhè mungu tëhèlqjesh tajòlla ulku,
po vrùndull mishi ka t’jèt përpjèkja.
E shulàrtur mbàh’ja dashurìsë,
lumi pa pengìme mund gjën dèjtin e tìj
e nà përzìhmi, pa fjàlë supèrqe.
Po nunga pìe, oi bota ètur,
gjiàkun t’im luftëtàri me plùar i armatòsur
e këtë dìtë ngjyròse me lulkùqt harèje.
Shkëndìlëz rròjtje ka gjìri yt
nàni sývet t’imë do t’jàpën kàllëz:
ndër atò pasiqýrëm e gjënj çèrën tënde.
Të mburùar bëhëmi pavdèkur
dhe ndomòs grùrë të kùarë.

Crisalidi

Uno sterile seme, un fiore mai nato,
una vita sognata in un letto deserto.
Non stare insieme, né bere il tuo fiato,
ad ogni ora passata il domani è più incerto.
Eppure per tanto come abbiamo potuto
vivere accanto a un amore incompiuto?
Crisalidi siamo
racchiuse nel limbo di un sogno negato.
Se mai voleremo
saremo pensieri su fili di vento,
policrome ali di nulla formate.
Saremo barbagli di luce sull’acqua,
un batter di ciglia,
la goccia stillante in un mare d’eterno.
Allora la vita, seppure per poco,
sarà come un fuoco di atomi inquieti.
Non più attese, non più fumo,
né seducenti trappole di lupo,
ma frèmito di carne sia l’incontro.
Crollata la diga dell’istinto,
un fiume libero troverà il suo mare
e noi l’unione, senza parole in più.
Bevi pure, terra assetata,
il mio sangue di guerriero di vòmere armato
e questo giorno dipingi con papaveri di gioia.
Scintille di vita dal tuo grembo
presto ai miei occhi doneranno spighe:
in esse mi specchierò e cercherò il tuo volto.
Moltiplicati saremo immortali
anche se ormai falciate messi.

 

Premio Speciale della giuria

sezione: Lingua Italiana/Vernacolo

Alessandro Valentini

per la poesia Er mejo de te

In questo sonetto vernacolare l’appagamento e il trionfo dell’amore si esaltano in una pienezza di sentimenti che tutto prendono e illuminano, affidati ad una versificazione armoniosa e intensa, innervata su soluzioni metriche di straordinaria armonia proprie del sonetto, il quale si sviluppa in forma ascensionale. Il poeta giunge al culmine dell’ascesa in un crescendo che, nutrendosi del sistematico ritorno, dei parallelismi e delle anafore, nonché del ritmo scandito e martellante, si realizza nella perfetta organicità della struttura generale della composizione, affidata ad un registro “da invocazione accorata” alla sua donna, che richiama in qualche modo la poetica del “dolce stil nuovo”.
E’ lei sorgente viva di vita, piccolo, grande mondo, straordinariamente complesso, prorompente di autentica carica vitale, a cui l’uomo può attingere, anche a piccole dosi, schegge di benessere spirituale, gocce di felicità, frammenti “de coraggio”, squarci di tenera dolcezza per potersi sentire pienamente realizzato.

 

Er mejo de te

M’abbasterebbe un quinto, te lo giuro,
de quela voja d’affrontà la vita
e un quinto de la forza tua infinita
pe guardà avanti e crede ner futuro.

Un quinto de coraggio, t’assicuro,
che metti pe fa scenne la salita
m’aiuterebbe pe trovà l’uscita
quanno me perdo e intruppo addosso ar muro.

Ce immischi un chilo de delicatezza,
un quinto d’ogni preggio tuo o difetto,
un pizzico de quella tenerezza

che ce regali sempre e qualche etto
d’amore, de passione e de dolcezza ..
Co un quinto tuo sarei ‘n omo perfetto.

 

Menzione d’Onore della Giuria

sezione: Lingua Italiana/Vernacolo

Alfonso Tagliamonte

per la poesia “Meta

È il viaggio, insieme scoperta fuori e dentro di sé, il motivo ispiratore della lirica: lo spazio è quello labirintico ed opaco del bosco, il tempo quello mitico ed universale dell’iniziazione, del disvelamento, del passaggio liminare dalle tenebre alla luce della conoscenza.
Il contrasto chiaroscurale enfatizza, inoltre, la prolungata sinestesia della prima sequenza, in cui tutti i sensi appaiono sollecitati dalla percezione degli elementi  naturali (l’acqua dell’erba umida, il suono prodotto dal fruscio dei passi, la luce emanata dalla lucciola, l’odore effuso dalla resina) a dire dell’esperienza totalizzante che coinvolge l’“io lirico”. Poi, nel mezzo di una radura, ecco baluginare il fuoco della conoscenza e sciogliersi la danza ipnotica dei gitani, emblema di quello spirito girovago che si annida in ogni uomo.
Così si dissolve la trepidazione per l’attesa di un momento rivelatore. Quel cerchio “magnetico”, infatti, è “eterna ricerca”, ma anche “meta”; è inizio, ma anche fine; in esso sono inscritti di ognuno la storia passata e il futuro, all’insegna dell’inesausta ricerca di una meta che, raggiunta, sfugge, costringendo a rimettere sempre in discussione le comode certezze di volta in volta conquistate.

Meta

Cheta, la nebbia mi avvolge
all’imbrunire, silenziosa.
Sull’erba umida
fruscio sottile di passi
che vagano incerti,
guidati da una lucciola,
tra pini che riempiono l’aria
di penetrante profumo di resina.
Lontano, avvolte nella veglia,
ombre di gitani intorno al fuoco.
Esseri alla eterna ricerca
di se stessi in un continuo
girovagare.
Mai stanchi di rincorrere
una meta che sembra
non esistere.
Verso quel fuoco mi avvicino,
attratto da una magnetica luce.
E’ forse lì la mia storia.
La fine della mia ricerca.

 

Premio della cultura alla memoria

“Umile ma tenace lavoratore della penna, così come si definiva, è stato tra le personalità più insigni della letteratura italiana contemporanea, dedicando la sua lunga vita, con entusiasmo e semplicità, alla diffusione dell’arte e della cultura in tutte le loro molteplici e affascinanti espressioni.
Poeta, scrittore, giornalista, ma soprattutto grande educatore, dotato di una sensibilità e nobiltà d’animo fuori dal comune, è stato testimone dei valori profondi dello spirito umano e di quanto essi siano irrinunciabili ed essenziali nella vita dell’uomo”.

Leave a Comment

Captcha * Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.