Concorso di Poesia – “Verso i versi” – 2007 – Motivazioni

Premio Speciale alla Carriera

L’Associazione “Amici Insieme”, ha deciso per questa III  Edizione del Concorso, di assegnare il Premio Speciale alla Carriera al poeta Luigi Navarra, con la seguente motivazione:

“Le sue poesie nascono da un profondo rispetto della natura e ritraggono i suoi aspetti caratteristici, riuscendo a descriverne contemporaneamente il senso d’infinito dei paesaggi e le sue intrinseche realtà.

“Il Poeta della Natura”, così come è stato definito, è anche il poeta dei ricordi, dei sani principi, dei sentimenti veri. Sempre alla ricerca continua degli aspetti più intimi e profondi dell’animo umano, immerso nelle vicissitudini di una realtà sempre combattuta tra il male ed il bene.

La genuinità delle sue liriche, per la maggior parte in versi liberi, riflette il cammino di un uomo umile che affidandosi a Dio, con intensa partecipazione ed introspezione, racconta l’affetto per i suoi cari, il contatto con la natura, l’amore per la sua donna, la nostalgia per la sua terra, Siano, definita come la bella Patria.”

    

Il Presidente dell’Associazione
dott.  Andrea Riccio

Incessanti pensieri

Siano, paese mio, paese natio,
paese del mio cuore,
paese dei festeggiamenti,
paese che richiami tanta gente:
solo e infelice, questo tuo figlio
come una foglia sparsa al vento
t’invoca e ti chiama coi suoi lamenti.

Ogni notte, in ogni istante della vita,
si risveglia in me l’inconscio del silenzio
e dall’eterno fluire dei sensi
penso a te, Siano,
paese dalle incomparabili virtù
come una primavera aperta ai cuori
con garriti di rondini in volo
e una stupenda cascata di emozioni
quando i tramonti baciano
le cime dei tuoi monti.

Una eco mai spenta
viene a ricordarmi giorni belli
dell’infanzia vissuta con te.
A contatto con la tua natura, dove i ciliegi
e i tralci delle viti s’infoltivano di pampini,
lungo i filari rincorrevo i grilli e le farfalle
mentre il frullo del pettirosso
tratteneva il mio respiro
e penetrava a fondo
nel mio cuore di fanciullo.

Quando ritornerò a te, paese mio?
forse, un sedici d’Agosto,
immerso in una fiumana di gente
protagonista di fede, forte come una roccia
che accorre in processione?
Ma capire non può chi non prova la fede
per il tuo Patrono San Rocco.

La memoria continua, accumula
sempre di più gli incessanti pensieri
e attinge da essi l’eterna speranza
di ritornare presto a te, amore mio!

 

 

III° Classificato

sezione: Vernacolo

Carlo  Alberto Lemmi

per la poesia “’E ‘Puete’ ……’

 

L’atmosfera ovattata della solitudine, anche nel frastuono della folla, con una forza sovrumana ti porta altrove per farti esplorare nuovi mondi e vivere nuove sensazioni: e la ricerca si fa affannosa, sempre più spasmodica per poter dare una veste ed un nome ad un’immagine, ad una suggestione.
Le parole si rincorrono e si sovrappongono: ora si offrono felici, ora si ritirano amareggiate. Si combinano poi quasi per magia e donano alla disillusa massa di gente che ogni giorno s’incontra illusioni, sogni, speranze
Così è da notare e apprezzare lo sforzo dell’autore di far rivivere i momenti forti dell’ideazione e della creazione di un componimento poetico, nonché l’orgoglio di rappresentare con dignità le qualità più nobili dell’uomo, che risiedono nell’animo del poeta più che in quello di ogni altro.

 

E ’Puete’….

Mò, finalment, ropp tant’u tiemp
eggio capito pecchè e’ puete,
quann so sule, parlano spiss rà sule…
Forse, dint’ò mument ca ‘e vide,
stann’acchiappanne ‘a parola
ca vene, ca scappe, ca torne, ca vole
e stanno co’ core rind’à nu munno
ca nun ‘è do nuost, ma è sulo do’ loro.
Tu ca passe e guarde,
nun t’azzardà ‘e te piglià o sfizie
e rà n’copp’à chesta gente ‘nu giudizie,
pecchè, caso mai n’ò sapisse,
chiste so’ chille
cà cu chella magìa,
ca se chiamme poesia,
spanneno ‘nu pizziche ‘e sale nd’à vita,
‘nfizzano nà goccia e speranze nd’o core,
appicceno ‘nu raggio ‘e sole nd’ò munno,
quann ‘o sole nun c’è.
Pirciò, si quacche vota,
cammenanne, ‘ncuntre a uno
cà rind’à via, ra sulo parle sulo,
t’arraccumanne, nùn te tirà arrete,
ma, annanz’à isse,
levete o’cappiello,
pecchè chillo ‘ca tu tremiente

.. è ‘nu pu

 

II° Classificato

sezione: Vernacolo

Gabriella Maddalena Macidi

per la poesia “Magòn

 

Il termine magone non trova una traduzione rispondente e chiara, ma dà adito a più versioni; potrebbe essere tristezza, malinconia, depressione, peso allo stomaco. In realtà, il testo poetico, questi significati li comprende tutti.  La lettura riporta alla descrizione di uno stato d’animo dove la voglia di liberarsi di questo “magone” risponde a una tensione vitale che convive con l’autrice e si esprime con questa sorta di malinconia che non dà pace, ma fa anche compagnia.
L’autrice inizia il testo chiedendosi se è passato tutto o, è ancora nella bufera che spesso cancella tutto e la fa sentire spaesata e sola, ma, poi continua dicendo che già sa che non sarà mai sola e le farà sempre compagnia.
In effetti si legge la rassegnazione e la consapevolezza di continuare a vivere con quel “groppo alla gola” che l’attanaglia, ma che comunque le appartiene e fa parte della conoscenza di sé.

 

Magòn

Go voja de un porto chieto
dove ‘rivare.
La buriana la xe finìa
o ghe son in mezo?
Torna el magòn
el ‘riva come le onde
el sùpia via le peche
su la spiaja incandìa.
Scolto vose distanti,
spojà, descantà,
sensa forsa.
Te vedo
te ve via
le to man frede
no toca le mie.
Magòn,
no te me lassi,
te me fè compagnìa
co fa belo, co piove,
co pianzo e anca co rido
te me compagni
sentà su na spala
te vardi i me passi,
no te me lassi.

 

I° Classificato

sezione: Vernacolo

Francesco Palermo 

per la poesia “ C’era ‘na fiata

 

L’efficacia espressiva del dialetto, abbinata alla cura formale del verso e adagiata su di una ritmo cadenzato, ma mai cantilenante, rende con aderenza il ricordo di una fanciullezza di altri tempi, quando, nella semplicità e nell’autenticità della comunicazione familiare, la fantasia dei piccini si alimentava, saziandosi, dei racconti dei genitori: allora gli adulti traducevano la propria morale in pillole di saggezza, di buon senso e di ottimismo, per ovattare le sofferenze e le ingiustizie del mondo esterno. Con l’età adulta, amari sopraggiungono il disincanto e l’oblio, ma resta nel cuore e nella memoria la tenerezza di quella lontana suggestione, che ora avvolge e confonde ricordi e racconti in una dimensione fiabesca.

 

C’era ‘na fiata

C’era ‘na fiata ..
Cussì zziccavanu li cunti te la mamma mia
quando iou piccinnieddhru piccùsu
me cercava a’ mienzu la mamma e lu tata
<<Dai!, Cuntame na cosa!>> ticìa,
e aprìa le ricchie, attentu e curiosu.

C’era ‘na fiata ‘na principessa
E poi lu re, riccu e senza core,
ma lla fine era lu puiriedhru
ca riuscìa face tutti fessa.
E trionfava sempre l’amore,
la dolcezza e lu cirvieddhru.

C’era ‘na fiata ‘nu santu cristianu
e poi lu prepotente senza misura
ma alla fine lu bene incìa lu male,
lu uastatu se arrenda allu sanu,
pe’ ogni malatìa c’era la cura
e pe’ ogni storia ‘nu bellu finale.

Quante beddhre cose succedìanu ‘na fiata!
poi criscivi e a manu a manu
issivi te lu liettu te la mamma  e te lu tata.
Me scirrai li cunti, chianu chianu …
… però me ricordu … ca c’era ‘na fiata!

 

Premio Menzione Speciale della Giuria

sezione: Lingua Italiana

Valeria Serofilli

per la poesia “Nel senso del verso

 

Istantanea, improvvisa, sfolgorante una scintilla riflette bagliori anche se chiaroscurali sull’animo del poeta: sprigiona sensazioni e sogni che chiedono di essere svelati, colti nella loro essenza per vivere una vita propria.
La fatica della ricerca semantica, di tradurre il compiuto e l’incompiuto, per aprirsi alla sensibilità altrui, riesce a gratificare il poeta quando la stessa è proiettata a  far cogliere l’ineffabile e inaccessibile messaggio di una realtà nascosta, rivestendo “larve di non detto”.
Il tutto il poeta ce lo fa cogliere attraverso un procedimento strutturale che si configura come un ordinato e armonico crescendo che, partendo dal titolo di un sol verso e proseguendo con un distico, poi con una terzina e una quartina, conclude il suo percorso con una strofa più ampia.

 

Nel senso del verso

Ricordo cominciare un tempo alterno
e dal fulcro sgorgare il riassumibile

Scandivano le parole / il loro senso
ed  ecco a questi loro sensi aprirsi:
io ore a rovistarne gli interstizi

Parole stese al sole / ad essiccare
magma di come, quando
magma di parole
per farne uscire il senso il verso il canto

Arresta il perfetto / l’ansia
di superamento /ma noi
la cui misura è l’imperfetto
la ricerca intraprendiamo di quel senso
per rivestire larve di non detto.

 

Premio Menzione Speciale della Giuria

sezione: Lingua Italiana

Sergio Castrucci

per la poesia “Nera di notte

 

La lirica è connotata dall’elaborazione poetica di un tema di urgente attualità, la mercificazione del corpo cui sono costrette le immigrate straniere. La sensibilità dell’autore consente di cogliere, oltre i limiti del facile e banale pregiudizio, il dramma di chi prima sfugge a condizioni di infima miseria, evocata dall’immagine inquietante del “ghepardo/ magro di corse e di fame”, e poi si ritrova, vittima di loschi affaristi, a vendere il proprio corpo, sullo sfondo grigio ed anonimo della metropoli occidentale.
Efficace, nella successione delle due sequenze, fondate sulla contrapposizione cronotopica prima/dopo e savana/città, l’allusione ad un sentimento costante di terrore e di disperazione, che sembra palpitare incessante nell’animo dell’ “azzurra antilope”, cui benessere e progresso non hanno saputo offrire un’occasione di salvezza.

 

Nera di notte

Stavi nascosta nell’erba alta,
immobile e senza odore,
mentre fiutando l’aria
invano ti cercavo nella savana.
Ben presto corresti,
azzurra antilope pazza di terrore,
fuggivi il ghepardo
magro di corse e di fame.
Sarebbe stato bello
raggiungerti
e affondare i denti
nel tuo morbido collo
invece finisti
nella rete dei bracconieri
e poi sugli asfalti umidi
delle notti metropolitane
da dove non so se mi sorridi
o mi mostri i denti.
Ma sei tu, questo lo so,
riconosco i fianchi stretti
le nere gambe lustre
di fughe veloci
e gli occhi grandi
ancora pieni di paura.

 

III° Classificato

sezione: Lingua Italiana

Giuseppe  De Sando

per la poesia “Il sacrificio

 

La lirica risalta per la densità espressiva e per l’icasticità del linguaggio metaforico, che rappresenta con vigore plastico l’ultimo volo di una farfalla, “recisa crisalide”. Il titolo fornisce la chiave di lettura del testo: l’allusione ad un ideale supremo, in nome del quale immolare la propria vita, consente di slittare su di un piano semantico più alto e di umanizzare il “sacrificio” di una creatura fragile e sublime insieme, arrivando, per cerchi concentrici, a considerarlo emblema di una condizione universale. L’immagine dell’urto scrolla violentemente l’umano delirio di “onnipotenza”, che resta, tuttavia, “cristallina”, effimera, ricordando prepotentemente all’uomo la caducità del suo destino.

 

Il sacrificio

La stimmate d’aculee arborescenze
della farfalla muta che s’infrange
fragorosa contro il parabrezza,
trafigge cristalline onnipotenze.

Conflagra, ghirigorica carezza,
quindi livida rapprende, furori
abbaglianti d’afflizioni
sempiterne.

Recisa crisalide dai serici
vortici, spettro repente di mori
memento, ti immoli, o mutante
prolessi, nella sublimazione d’un
istante.

 

II° Classificato

sezione: Lingua Italiana

Pamela Romagnoli

per la poesia “Donna Strelitziana

 

Il testo composto da versi liberi e pregnanti inizia con la descrizione di un fiore dove i ceruli tepali evocano il mare e i tepali arancio richiamano l’Oriente. Tutto come una scoperta, un percorso d’amore misterioso e inebriante.Una perfetta sintonia tra la natura e l’uomo dove le sensazioni visive e olfattive si condensano per incarnare un fiore-donna o una donna-fiore. L’armonia del connubio rivela il suo incanto in questa imprescindibile unione.
L’appassionata descrizione rimanda all’idea di una donna che sensuale e altera nella sua bellezza prorompente si lascia poi cadere stanca, rivelandosi così, tenera e coriacea proprio come le foglie di una splendida strelizia.

 

Donna Strelitziana

V’è del ricordo marino
nei ceruli tepali,
il profumo d’oriente si spande
dai tepali arancio,
inebriante viaggio nei caldi Paesi dell’Africa.
La tua pelle esotica
si avvolge in steli verdi ed irti
dove spuntano vergini le infiorescenze.
La tua corolla violacea
ispira Amore passionale e incerto.
Il vento dell’est aggroviglia la rossa chioma,
sfiorando tenere le foglie coriacee.
Oh prorompente fiore asiatico
protenditi verso il sole!
S’illuminano i tuoi occhi palpitanti
come mandorle dorate.
Ma ecco, una goccia di rugiada cade giù,
sudore di una stanchezza che presto finirà.

 

I° Classificato

sezione: Lingua Italiana

Giovanni Bottaro

per la poesia “ Non so se fuori cada la neve

La poesia scorre come su note che alternano intensità e tenuità a seconda del susseguirsi irregolare delle strofe, che, sull’onda di suggestive immagini, modulate come su un arpeggio di rara potenza espressiva per la leggerezza del tono, disvelano il senso della solitudine dissolta in una tenera e coinvolgente sensazione di pace.
Il sogno, così, travalica le barriere naturali e il senso del buio e del mistero, per approdare ad un’atmosfera di profonda, anche se in qualche modo turbata, quiete dello spirito, che vive di quelle suggestioni forti che significativi squarci esercitano sull’animo del poeta.

 

Non so se fuori cada la neve

muto il greto:
il Reno alto ondulato
scivola:
solo
accenni di nodi schiumosi
tra ciottoli affogati

l’inverno ha sapori nudi di pietra:
un versante è appiglio scaglioso
per tronchi sfibrati
tra macchie scure di sempreverdi

se dai monti scendono
le ombre di Sera

un ponte
di barchette di carta
mi unisce
al cielo basso
grigio nebbioso

e lo trapassa

il mio guscio di sasso
ha finestre di fragile vetro appannato

la Notte zittisce un’ultima Voce

forse un’ala sul letto si dispiega

vibra una flebile luce
nell’androne abbuiato

il fischio dell’ultimo treno

mi piego

– sul letto disfatto –

compagna la solitudine

in calma di vento
quasi spaura
dolce
il silenzio

non so se fuori cada la neve

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